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Coronavirus mutato, verifiche in corso ma i ricercatori internazionali considerano improbabile uno stop ai vaccini. Ecco perché

20 Dicembre 2020 - 11:47 Juanne Pili
Nessuna mutazione (né quella inglese né quella sudafricana) al momento sembra rendere obsoleti gli antidoti al Covid testati finora

Secondo quanto affermato recentemente dal premier inglese Boris Johnson la variante  «VUI-202012/01» del nuovo Coronavirus registrata nel Regno Unito, renderebbe il virus più trasmissibile del 70%. Si parla della mutazione N501Y della glicoproteina Spike (S), detto in maniera più semplice: la mutazione influisce sull’efficienza dell’antigene nel legarsi ai recettori ACE2 delle nostre cellule.

Questa mutazione però non è emersa di punto in bianco in questi giorni. Come abbiamo riportato in un articolo precedente, il vice direttore generale del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare e direttore congiunto del suo Istituto Europeo di Bioinformatica a Cambridge, Ewan Birney ha così affermato:

«Se la nuova variante avesse avuto un grande impatto sulla gravità della malattia, l’avremmo già visto […] Quindi ci sono tutte le ragioni per pensare che i vaccini funzioneranno ancora contro questo nuovo ceppo, anche se ovviamente deve essere testato a fondo».

Un’altra mutazione di una certa rilevanza è stata registrata in Sudafrica, come riporta Reuters, ed è classificata come «501.V2». Esistono diversi studi sulle varie mutazioni che interessano l’antigene virale. Quella dominante che ci preoccupava nei mesi scorsi è la «D614G». Ma anche in quel caso niente che potesse mettere a repentaglio la ricerca sui vaccini.

Entrambe le recenti varianti condividono una potenziale maggiore capacità di legarsi ai recettori ACE2. Tali evidenze sono emerse da studi di «mutational scanning», eseguiti in vitro. Quel che succede a livello epidemiologico, quando andiamo a vedere come si comporta effettivamente il virus in una popolazione, può variare molto. È la ragione per cui gli stessi vaccini, oltre a essere testati con diverse varianti virali, devono superare diverse fasi di sperimentazione clinica, prima di venire approvati.

«Ci andrei con i piedi di piombo finché non si avranno indicazioni sperimentali più chiare, anche perché N501Y non è una variante “nuova”, ed ha circolato a bassa frequenza per diversi mesi prima di mostrare questa crescita», commenta l’esperto di genomica comparata Marco Gerdol nel gruppo Facebook di debunking medico L’influenza, questa sconosciuta.

Ad ogni modo, sono ancora tanti gli aspetti da chiarire ed è legittimo preoccuparsi. Secondo l’immunologo Andrea Cossarizza, intervistato da Repubblica, «il rischio c’è, per quanto minimo, e bisogna tenere alta l’attenzione anche dopo la vaccinazione».

Non di meno qui la guardia non la abbassa proprio nessuno. Ed è al momento piuttosto remota la probabilità che queste mutazioni, come altre che prevediamo emergano – perché la mutevolezza dei Coronavirus è cosa ben nota – possano mettere in crisi le vaccinazioni di massa in corso e quelle future. Staremo a vedere.

Foto di copertina: fernandozhiminaicela | Coronavirus e Covid-19.

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